Il monarca uscì un momento in giardino e colse da un albero una grossa pesca di immortalità; la mise nel cofano e ordinò di riportarlo nella sala per la nuova prova.
"Discepolo" mormorò Tripitaka, "si ricomincia."
"Va bene" rispose il Novizio; "torno subito."
Ripartì ronzando, entrò nel cofano e vide la pesca: non poteva augurarsi di meglio. Riprese la propria forma e si mangiò la pesca con gusto, lasciando al suo posto il nocciolo ripulito. Poi riprese forma di insetto e volò nell'orecchio di Tripitaka: "Maestro, è un nocciolo di pesca."
"Non prendermi in giro! Hai visto che rischi ho già corso. Questa volta è ben certo che si tratta di un tesoro; e un nocciolo di frutta, che tesoro sarebbe?"
"Se volete indovinare, la verità è questa."
Prima che Tripitaka potesse aprir bocca, Potenza dell'Ariete dichiarò: "Hanno la precedenza gli umili servitori del Tao: il contenuto è una pesca di immortalità."
"Non pesca, ma nocciolo" obiettò il monaco cinese.
"Come sarebbe a dire un nocciolo? La pesca ce l'ho messa con le mie mani!" gridò il re. "Ha indovinato il terzo maestro di stato."
"Che dire, maestà; apriamo e vediamo."
Il preposto aprì il cofano e tolse il vassoio: altro che pesca! Non restava che il nocciolo ben ripulito.
Stupefatto e allarmato, il monarca esclamò: "Maestri, rinunciate a competere con questa gente! La pesca ce l'avevo messa io; chi se la sarà mangiata? Devono avere l'aiuto di dèi o di diavoli; è meglio che se ne vadano."
Porcellino commentava sottovoce con Sabbioso: "Questa gente non sa che lunga pratica ha fatto il nostro buon fratello nell'arte di mangiar pesche."
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