Porcellino si mordeva le dita e diceva a Sabbioso: "Non l'avevamo giudicata bene, quella scimmia; io stesso l'ho punzecchiato tante volte e ho detto sarcasmi nei suoi confronti, ma non avrei mai pensato che sapesse fare tutte queste cose."
Scimmiotto li vedeva da lontano parlottare fra loro; in realtà ne dicevano ogni bene, ma lui si immaginò il contrario: "Ecco il bestione che ricomincia con le sue maldicenze. Va sempre così: Chi ha le critiche lavora, chi le fa si gira i pollici. Io mi do tanto da fare e loro stanno a guardare e spettegolare. Si meritano di prendere uno spavento."
Si tuffò sul fondo, si trasformò in un chiodo non più grande di un nocciolo di giuggiola e non risalì.
L'ufficiale di servizio informò il re: "Maestà, il giovane bonzo è fritto nell'olio bollente."
Il monarca, tutto contento, ordinò di ripescare la frittura nel calderone. Il carnefice usò un colabrodo di ferro, ma le maglie erano troppo larghe per trattenere quel chiodino: passa e ripassa, non si trovava niente. Si dovette concludere: "Era tanto gracile e con ossa tanto tenere che si è sciolto completamente."
"Arrestate quei tre bonzi!" ordinò il re. Le guardie si gettarono per primo su Porcellino, che sembrava il più pericoloso, lo gettarono a terra e gli legarono le mani dietro la schiena. Tripitaka, spaventato, gridava: "Vostra maestà, date un po' di tempo al povero monaco che sono! Il mio discepolo aveva acquistato molti meriti da quando aveva abbracciato la nostra dottrina; ora è morto nel calderone combattendo contro i maestri di stato. Chi cade per la fede va in cielo, non m'importa di morire. È naturale che sulla terra si sia soggetti all'autorità terrena: se vostra maestà vuole che io muoia, non chiedo di sottrarmi. Spero soltanto che avrete la generosità di farmi dono di mezza tazza di riso bollito e di tre cavalli di carta, perché li possa bruciare in testimonianza d'affetto per il mio discepolo, prima di essere messo a morte."
|