"Dici sul serio?" chiese Scimmiotto, riponendo il randello e dissimulando il piacere che questa dichiarazione gli faceva.
"Come oserei mentire alla vostra eminente santità, cui devo tanto?"
"Se è vero, giuralo."
"Che il mio corpo si sciolga in acqua, se non traghetterò fedelmente il monaco cinese."
"Va bene; vieni qui" gli disse Scimmiotto sorridendo.
La tartaruga si arrampicò sulla riva. La folla poté constatare che aveva un enorme carapace bianco della circonferenza di quattro tese.
"Maestro" propose Scimmiotto, "montiamole dunque in groppa e traghettiamo."
"Discepolo" obiettò Tripitaka, "ricordi come si scivolava sul ghiaccio, benché fosse tanto spesso? Temo che nemmeno questo carapace sia tanto sicuro."
"Non temete" intervenne la tartaruga. "La sicurezza che vi offro è molto maggiore di quella della più spessa coltre di ghiaccio. In questo caso ci sono sotto io, e so che il minimo beccheggio potrebbe essere pericoloso."
"Via, maestro!" insisté Scimmiotto. "Bestia che parla umano, non sa mentire. Fratelli, portate qui il cavallo."
Mentre i paesani si inginocchiavano, Scimmiotto ordinò ai condiscepoli di far montare il cavallo sopra la tartaruga e collocò Tripitaka a sinistra, Sabbioso a destra e Porcellino dietro; lui stesso si mise ritto a prua. Per escludere a ogni buon conto che la tartaruga facesse impertinenze, si tolse la cintura di nerbo di tigre e ne fece delle redini; stava dunque con un piede sul carapace e uno sulla testa, sbarra in una mano e redini nell'altra. Poi gridò alla tartaruga: "Avanti piano! Se provi ad agitarti, ti do un botto in testa."
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