"Qui siamo esposti al vento e al freddo. Io dico che ci conviene continuare per la nostra strada. Quando il condiscepolo ritornerà, farà presto a raggiungerci; e speriamo che ci porti qualcosa da mangiare. A stare qui fermi ci guadagniamo solo di congelarci i piedi."
In quel momento Tripitaka doveva trovarsi sotto una cattiva stella, perché gli diede retta. Uscirono dal cerchio e ripresero il cammino. In breve giunsero ai begli edifici che avevano visti di lontano. L'ingresso era protetto da due muri convergenti, imbiancati a calce. La torre del portale aveva pianta rettangolare, era adorna di fiori di loto rovesciati e dipinta dei cinque colori. I battenti erano socchiusi. Porcellino legò il cavallo al tamburo di pietra accanto all'ingresso, Sabbioso posò il suo carico e Tripitaka si sedette nel vano della porta, al riparo dal vento.
"È certo la residenza di una persona importante, un nobile o un ministro" disse Porcellino. "Qui fuori non c'è nessuno: saranno tutti dentro a scaldarsi al fuoco, con il freddo che fa. Aspettate che vado a vedere."
"Abbi modo, non ti buttare sulla gente."
"Maestro!" rispose il bestione. "Da quando mi sono convertito ho imparato anch'io le buone maniere; non sono più un contadinotto che viene dal porcile."
Quel balordo si infilò il rastrello nella cintola, aggiustò la sua tonaca nera e andò avanti dandosi un'aria molto signorile. Si trovò in una grande sala a tre navate, dove le stuoie delle finestre erano tutte sollevate. Vi regnava il silenzio. Non v'era traccia di arredi, come tavoli, poltrone o vasellame. Aggirò il paravento che proteggeva la porta verso l'interno e proseguì la sua esplorazione. Si attraversava una galleria e si vedeva un grande padiglione: le finestre semiaperte del primo piano lasciavano scorgere all'interno grandi cortine di mussola gialla.
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