"Eppure il tuo maestro si è introdotto nel castello fantasmagorico che avevo suscitato sul ciglio della strada e, spinto dalla concupiscenza, mi ha rubato tre giubbe di broccato e se le è infilate. Ho in mano il corpo del reato, perciò mi sento autorizzato ad arrestarlo. Ma se pensi di farcela, vieni a misurarti con me. Se reggi tre scontri, farò grazia al tuo maestro; se no, andrai a fargli compagnia."
"Maledetta creatura, lascia perdere le chiacchiere" sogghignò Scimmiotto. "Vuoi combattere? Detto fatto. Assaggia il mio randello!"
L'orco non si tirò indietro e mise la lancia in resta. Che battaglia!
Sbarra cerchiata d'oro contro lunga lancia: l'una scintilla come il serpente d'oro del fulmine, l'altra brilla come il drago che esce da un mare d'inchiostro. Davanti all'ingresso i mostri battono i tamburi e si danno da fare per tenere alto il prestigio della casa. Il grande santo mostra in lungo e in largo la sua bravura. La lancia è maneggiata con energia, il randello con arte consumata. Sono avversari degni uno dell'altro. Quel diavolo soffia dalla bocca volute di fumo porporino, il grande santo lampeggia fino alle nuvole lo sguardo con riflessi iridati. Si battono all'ultimo sangue pro e contro il monaco cinese.
Dopo trenta riprese, lo scontro era lontano da una decisione. Il diavolo ammirava la perfetta maestria della scherma di quella sbarra: "Che scimmia in gamba! Non ha proprio perso lo smalto, dai tempi di quella famosa scorribanda nei palazzi del Cielo."
Da parte sua Scimmiotto ammirava il maneggio impeccabile di quella lancia, che copriva a destra e parava a sinistra senza mosse inutili: "Com'è bravo! Dev'essere un diavolo che ha rubato l'elisir."
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