Sbarra contro uncino: rabbia e rancore spingono i due. Vola sabbia, rotolano pietre; terra e polvere velano il cielo. Il grande santo chiede acqua per il suo maestro, il mostro la rifiuta a causa del nipote. I due prodigano sforzi equivalenti, senza tregua né riposo; sono così accaniti che serrano i denti e li digrignano; sono così tesi che sputano fumo in quantità, da impensierire diavoli e dèi.
Le armi si urtano: il loro rimbombare fa tremare monti e colline. È un uragano da abbattere la foresta, un vento furioso peggiore di quello degli scontri di tori. La lotta eccita rabbia e gioia: combattono con ogni impegno all'ultimo sangue.
Erano venuti alle mani davanti all'ingresso, ma con salti e balzi finirono per spostarsi ai piedi del monte. Sabbioso, con il secchio in mano, poté così precipitarsi dentro. Davanti al pozzo trovò il discepolo, spalleggiato da un servo, che gli sbarrò la strada apostrofandolo: "Chi sei tu che osi attingere quest'acqua?"
Sabbioso non perse tempo a rispondere. Posò il secchio, cavò il bastone per abbattere i diavoli e colpì il discepolo. Il taoista non riuscì a schivare il colpo, che gli ruppe la spalla sinistra. Cadde a terra e cercò disperatamente di sottrarsi strisciando via.
"Ti volevo ammazzare, bestiaccia; ma dal momento che hai forma umana, ho pietà di te. Ti risparmierò, ma levati di torno e lasciami attingere l'acqua" disse Sabbioso.
Il taoista, chiamando cielo e terra a testimoni, strisciò via faticosamente. Sabbioso cavò un secchio d'acqua dal pozzo, uscì con comodo dall'eremitaggio, salì su una nuvola e gridò a Scimmiotto: "Fratello, puoi lasciar perdere. Abbiamo l'acqua."
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