Davanti a quei ceffi patibolari, Tripitaka giunse le mani davanti al petto e implorò: "Grandi re, il povero monaco che sono è inviato dal sovrano dei Tang delle terre dell'Est a cercare le scritture nel Paradiso dell'Ovest. Ho lasciato Chang'an da tanti anni, che non mi resta nulla del mio viatico. Noi che abbiamo lasciato le nostre famiglie viviamo di elemosine. Come potremmo avere denaro con noi? Ripongo ogni speranza nella vostra misericordia: lasciate andare l'umile monaco che sono!"
"Il nostro è mestiere da tigri" risposero i due capi. "Non blocchiamo la strada maestra per divertirci, ma per far grana. Non perdere tempo a sviolinare di misericordia: se non hai soldi spogliati, lascia i vestiti e il cavallo, e potrai passare."
"Emituofo!" supplicò Tripitaka. "Ho mendicato questo vestito pezzo per pezzo: chi mi ha dato la stoffa, chi ha donato le cuciture. Se mi spogliate mi condannate a morte. Non avete che questa vita per agir bene, nella prossima rischiate di trovarvi mutati in bestie selvagge."
Uno dei briganti si innervosì e alzò un gran randello per assestargli un colpo in testa. Il reverendo pensava: "Infelice! Credi di avere un buon randello, ma non hai visto quello del mio discepolo."
Davanti al bastone levato il reverendo, che in vita sua non aveva mai mentito, si lasciò andare a un trucchetto di bassa lega: "Non toccarmi! Mi seguono dei discepoli: sono loro che portano i soldi, parecchi tael d'argento. Prendete quelli."
"Non c'è gusto a picchiare questo bonzo meschino, che andrebbe subito fuori combattimento. Legatemelo bene."
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