"Maestro" rispose Scimmiotto, "questa è evidentemente la capitale di un regno."
"Una città cinta da mura sotto il cielo" osservò ridendo Porcellino, "può benissimo essere capoluogo di prefettura, oppure di sottoprefettura. Come fai a dire che è una capitale?"
"Non sai la differenza fra un capoluogo di prefettura e una capitale? Non vedi che ogni lato delle mura ha più di dieci porte e supera in lunghezza i cento li? Torri e terrazze sono tanto alte da perdersi nelle nuvole. Come spiegheresti queste meraviglie, se non fosse una capitale?"
"Tu te ne intendi, fratello" approvò Sabbioso; "è certo una residenza regia. Ma come si chiamerà?"
"Non vedo stele, né placche o insegne" replicò Scimmiotto. "Quando entreremo in città, lo chiederemo ai passanti."
Il reverendo frustò il cavallo e in breve giunsero alle porte. Attraversarono il ponte ed entrarono: nei viali e nei mercati regnavano l'abbondanza e la ricchezza; la prosperità si manifestava anche negli abiti della gente. Mentre passeggiavano, videro una decina di bonzi, che indossavano cenci miserandi, recavano al collo la canga e andavano mendicando di porta in porta.
"La volpe piange la morte della lepre; sono malconci, ma solidali" sospirò Tripitaka. E ordinò: "Consapevole del Vuoto, chiedi loro perché sono ridotti in quello stato."
Scimmiotto gridò: "Ehi, bonzi, di quale monastero siete? Perché vi hanno condannati a portare la canga?"
"Monsignore" dissero i monaci cadendo in ginocchio, "ci hanno fatto torto. Siamo del Monastero del Lampo d'Oro."
|