"Dov'è questo monastero?"
"In fondo alla strada."
"Raccontateci il torto che vi hanno fatto" disse Scimmiotto guidandoli verso Tripitaka.
"Monsignori, non sappiamo niente di voi, benché abbiate un'aria familiare. Non osiamo rispondervi qui, in mezzo alla strada. Seguiteci nella nostra umile dimora, perché possiamo parlare liberamente."
"È giusto" disse Tripitaka. "Seguiamoli al loro monastero."
In breve giunsero all'ingresso, sopra il quale era scritto in sette caratteri d'oro:
MONASTERO DEL LAMPO D'ORO, PROTEZIONE DEL PAESE, FONDATO PER ORDINE DEL RE
Varcata la soglia, si offrì agli occhi dei visitatori un triste spettacolo:
Fredde le lampade da incenso nell'antica sala; sotto i porticati deserti il vento spinge qua e là foglie morte. La pagoda alta mille piedi, circondata dai pini, sale a sfiorare le nuvole. Nella corte crescono fiori selvatici, nessun ospite vi entra da molto tempo. Sotto le tettoie i ragni tessono indisturbati. Il tamburo è montato, la campana è appesa, ma invano: nessuno li suona. La polvere copre i colori degli affreschi. Vuoto il pulpito; la sala di meditazione ospita solo qualche uccellino in cerca di rifugio. Desolazione che strappa un sospiro scoraggiato, triste silenzio dell'abbandono. Il brucia profumi davanti al Buddha contiene solo ceneri vecchie e qualche petalo secco.
Tripitaka sentì una stretta al cuore e gli vennero le lacrime agli occhi. I monaci con la canga al collo spinsero la porta della sala principale, e vi introdussero il reverendo perché potesse pregare il Buddha. Tripitaka entrò, offrì incenso con la mente e si prosternò tre volte. Vennero poi accompagnati nella cella del superiore, dove videro uno strano spettacolo: sei o sette giovani monaci erano incatenati ai pilastri. Gli accompagnatori si prosternarono e chiesero: "Padri, i vostri volti sono diversi dai nostri; venite forse dal paese dei grandi Tang, nelle terre dell'Est?"
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