Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Ecco dei bonzi che sanno arrangiarsi a indovinare senza bisogno di achillea" rispose ridendo Scimmiotto. "Le cose stanno come dite. Ma voi come lo avete capito?"
     "Non siamo veggenti. Non possediamo altro che il dolore per l'ingiustizia che dobbiamo subire, senza che abbiamo avuto la possibilità di discolparci. Un giorno dopo l'altro, non possiamo far altro che invocare il Cielo e la Terra. Saremo riusciti a commuovere gli dèi di Sopra? Fatto sta che la notte scorsa abbiamo fatto tutti lo stesso sogno: stava per giungere un monaco cinese dalle terre dell'Est, a salvarci la vita e riparare i torti subiti. Perciò, reverendi, vi abbiamo riconosciuti."
     Tripitaka, lieto della notizia, domandò: "Diteci qual'è il nome del paese e quali sono le vostre lagnanze."

     "Padre" risposero i monaci inginocchiati, "il paese e la città si chiamano Jisai, che significa Gara di Offerte: è una delle contrade più importanti dell'Ovest. Un tempo i barbari dei quattro orienti le pagavano il tributo: a sud il regno di Yuetuo, Gobba di Luna; a nord Gaochang; a est il regno dei Liang dell'Ovest; a ovest il paese di Benbo. Ogni anno portavano le più belle giade e perle luminose, belle fanciulle e magnifici cavalli. Il riconoscimento come paese dominante era spontaneo, non dovuto a imprese militari."
     "Evidentemente il vostro sovrano possiede la Via, e i vostri ufficiali civili e militari sono buoni e saggi" suppose Tripitaka.
     "I funzionari civili non sono affatto saggi, e quelli militari tutt'altro che buoni. Quanto al sovrano, non ha mai cercato la Via. Il motivo era la sacra pagoda del nostro monastero. Era costantemente avvolta da nubi di buon augurio che torreggiavano nel cielo; di notte, la sua aureola iridata si vedeva chiaramente da una distanza di diecimila li; di giorno, il suo soffio profumato si spandeva in tutti i paesi vicini. Perciò i barbari consideravano la nostra città divina e benedetta dal Cielo, e si inducevano a pagare il tributo. Ma tre anni fa, nella prima notte d'autunno, a mezzanotte, cadde una pioggia di sangue. L'indomani all'alba paura e scoraggiamento turbarono ogni focolare, invasero ogni cuore. I ministri, nei loro rapporti, confessavano di non capirci niente. Si ordinò ai preti taoisti di celebrare i loro servizi, e ai monaci buddisti di recitare sutra per impetrare perdono e aiuto dal cielo e dalla terra. Chi l'avrebbe mai detto? La nostra pagoda, contaminata, perse la sua aureola e nessun paese straniero offrì più il tributo. Il nostro sovrano voleva far guerra, ma i cortigiani lo dissuasero. Dissero che era colpa nostra, che i monaci del monastero avevano rubato il tesoro della pagoda, e questa era l'origine di tutti i guai. Il nostro ottuso sovrano non indagò oltre: ci fece arrestare da quei mandarini concussionari, che ci sottomisero a interrogatori e ci torturarono in tutti i modi. Quando questa storia è incominciata, abitavano qui tre generazioni di monaci: le prime due non hanno resistito a lungo, sono morti tutti. Ora tocca a noi rispondere del crimine, con canga e catene. Lo chiedo a voi, monsignore: come avremmo osato commettere un simile delitto? Speriamo che la commiserazione per i vostri colleghi vi faccia usare la vostra immensa compassione e la potenza della legge, per salvare le nostre misere vite."


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