Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Vediamo" tagliò corto Scimmiotto. "Salgo a dare un'occhiata."
     Balzò in alto e guardò: la distesa proseguiva a perdita d'occhio. Di certo

     la terra vi scompariva fino ai confini del cielo; legno morto e legno nuovo, coperto di foglie novelle, la ricoprivano di un groviglio impenetrabile. Lo sguardo non ne vedeva la fine: sembrava una nuvola spessa, verde e nera, che stormiva nel vento e brillava nel sole.
     Qua e là si vedevano alberi prigionieri: pini, cedri e bambù; e, più frequenti, susini, salici e gelsi. Le liane aggrediscono i vecchi alberi e ne allacciano i tronchi; formano come grandi stuoie e pannelli, qua e là colorati da fiori che diffondono nell'aria i loro profumi selvatici.
     Chi non ha mai incontrato spine in vita sua? Ma non ne avrà mai viste tante quante se ne trovano sulla strada dell'Ovest.


     Dopo aver osservato, il Novizio ritornò a terra: "Ce n'è parecchie."
     "Dove arrivano?" domandò Tripitaka.
     "La fine non si vede. Almeno a mille li."
     "Allora siamo nei guai!" esclamò sgomento Tripitaka. "Come facciamo?"
     "Non vi preoccupate" replicò Sabbioso ridendo. "Fate conto che sia un terreno da debbiare: daremo fuoco alla sterpaglia."
     "Non dire scemenze" obiettò Porcellino. "Il debbio si fa nella decima luna, quando erba e piante sono secche. Non si può bruciare questa roba piena d'acqua, con foglie verdi e fiori sbocciati."
     "Se poi prendesse fuoco, è una distesa troppo vasta per controllare un incendio: sarebbe pericoloso" aggiunse Scimmiotto.
     "Ma come passeremo?" insisté Tripitaka.
     "È semplice" disse Porcellino. "Non avete che da seguirmi."


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