Mile venne fuori, in veste di vecchio contadino, e disse sorridendo: "Sono miei, mahârâja."
"Sono maturi?"
"Ma certo."
"Scegline uno che mi disseti."
Mile colse il melone-Scimmiotto e lo offrì rispettosamente al re diavolo; il quale, senza altra indagine, aprì la bocca per dargli un morso. Quando Scimmiotto si vide davanti quella bocca spalancata, ci scivolò dentro tutto intero e scese giù per la gola. Ed eccolo che torce le budella, pizzica lo stomaco, danza come una libellula, cammina sulle mani: in breve, fa tutte le bizzarrie che gli frullano per il capo. Il mostro digrigna i denti, fa smorfie di dolore, piange, si getta per terra, rotola qua e là come un ossesso: in breve il campo di meloni fu devastato come un'aia dopo la battitura del grano. E il mostro gemeva: "Basta! Aiuto! Pietà!"
Allora Mile riprese il proprio aspetto e gli disse: "Dunque, brutta bestia, mi riconosci?"
Il mostro si mise sulle ginocchia e si prosternò battendo la testa per terra. Poi si strofinò il ventre gridando: "Pietà, mio signore! Lasciatemi vivere! Non lo farò più!"
Mile lo perquisì, gli tolse la borsa del paradiso futuro e il bastone delle pietre sonore e gridò: "Consapevole del Vuoto, ti prego, per riguardo a me, lascialo vivere."
Ma Scimmiotto aveva ancora molta rabbia da sfogare, e qui colpiva di pugno, là di pedata: ne faceva di tutti i colori, mentre la povera creatura veniva meno.
"Via, Consapevole del Vuoto" tornò alla carica Mile, "mi pare che abbia avuto il fatto suo. Ora basta!"
"Che apra la bocca" gridò infine Scimmiotto. "Voglio uscire."
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