"L'avrà staccato vostra sorella, e penserà lei a guarire la maestà di vostra nonna" rispose Porcellino.
"Fa vedere che cosa tieni lì."
Porcellino abbassò gli occhi, si accorse del foglio e masticò fra i denti: "Quel macaco mi vuol morto." Stava per stracciarlo, ma la folla lo impedì: "Non si può distruggere un proclama del re! Se tu l'hai staccato, tu lo devi guarire: vieni subito con noi!"
"Siete matti, non sono stato io! Sarà stato il mio condiscepolo Scimmiotto, che me l'avrà gettato in grembo. Se volete vi porto da lui."
"Non cercare scuse. Dovremmo lasciare la corda della campana che già dondola, per aspettare che il fonditore ne fabbrichi una nuova. Il proclama lo avevi in mano tu e ora non ci porti da nessuno: noi porteremo te a corte, per amore o per forza."
La folla spingeva e tirava, ma Porcellino sembrava aver messo radici. Li avvertì: "Badate, non sapete con chi avete a che fare. Se mi fate arrabbiare, ve ne pentirete."
Lo scandalo del proclama staccato attirava altra gente. Due attempati eunuchi di corte si fecero avanti, accompagnati da guardie, e lo apostrofarono: "Da dove vieni, signor cocciuto, con quella faccia strana e quell'accento ridicolo?"
"Siamo gente dell'Est, inviati a cercare le scritture nel Paradiso dell'Ovest. Il nostro capo è un maestro della legge, fratello dell'imperatore: è andato a corte a presentare il passaporto. Io passavo di qui con il mio condiscepolo anziano, diretti a far compere; quando ho visto tanta gente assembrata, non ho osato andare avanti. Dev'essere stato lui a strappare il manifesto e a gettarmelo in grembo; io non me n'ero nemmeno accorto."
|