Benché immerso nei tormenti, il reverendo osservava le manovre delle ragazze. Dopo averlo appeso, si spogliarono. Tripitaka pensava allarmato: "Dio mio, si spogliano per mettersi a loro agio e battermi, o magari mangiarmi!"
In realtà le ragazze si limitarono a sbottonare le camicette e mettere a nudo l'ombelico; ciascuna ne cavò un bolo di seta grosso come un uovo d'anitra, e lo filò in mille fili argentei e sottilissimi. In breve ne coprirono tutta la porta.
Scimmiotto, Porcellino e Sabbioso erano rimasti sul ciglio della strada. Uno faceva pascolare il cavallo, l'altro badava ai bagagli; intanto il Novizio, da quel capriccioso che era, saltava di ramo in ramo, strappando foglie e cercando frutti. D'un tratto vide qualcosa baluginare e balzò giù dall'albero su cui si trovava gridando: "Andiamo male, il maestro è nei guai. Non vedete che cosa accade laggiù?" E con la mano indicava la capanna.
Porcellino e Sabbioso guardarono, e videro al posto della porta un riquadro bianco e brillante, che splendeva più dell'argento.
"Sono mostri!" gridò Porcellino. "Andiamo all'attacco!"
"Saggi fratelli" li moderò Scimmiotto, "non sappiamo di che cosa si tratti. Aspettatemi, che andrò in avanscoperta."
"Sta attento, fratello!" esortò Sabbioso.
"So io che cosa devo fare" rispose Scimmiotto.
Il grande santo si strinse alla vita la gonnella di pelle di tigre, brandì la sbarra cerchiata d'oro e in pochi lunghi passi fu sul posto: il riquadro era un tessuto di mille fili di seta incrociati, spessi come funi. A toccarli erano morbidi e appiccicosi. Senza sapere di che cosa fossero fatti, Scimmiotto levò la sua sbarra e si disse: "Butterò giù tutto, anche se i fili non fossero mille ma diecimila." Ma poi si trattenne: "Sono corde morbide e tenaci, non è detto che si rompano. Prima di compiere atti di ostilità senza sapere con chi ho a che fare, è meglio che raccolga informazioni."
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