Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     "Che persone pericolose!" esclamò Scimmiotto. "L'ho scampata bella. Non mi meraviglio più che il povero Porcellino non riuscisse a venirne a capo. Come uscire da questa situazione? I miei sono avvelenati, quella banda è numerosa ed efficiente, e io so ben poco di loro. Sarà bene che chieda un supplemento di informazioni alla divinità locale."
     Discese al suolo, fece un passaggio magico, recitò la sacra sillaba om e convocò per la seconda volta il vecchio tudi.
     "Grande santo" chiese quello, tenendosi a una certa distanza e prosternandosi tremebondo, "non dicevate di essere qui di passaggio? Perché non siete ancora partito?"
     "I miei sono stati avvelenati dal prete del Tempio del Fiore Giallo, che si è giustificato riferendosi alle ragazze della Grotta delle Ragnatele. Quando mi sono reso conto che era anche lui una creatura malefica ho cercato di colpirlo, ma sono accorse le sette ragazze e hanno incominciato a tessere il loro filo. Per fortuna ho avuto il buon senso di scappare. Non è possibile che tu, come divinità del posto, non sappia la loro origine. Vuota il sacco, o questa volta non eviterai le botte."

     Il tudi si prosternò precipitosamente: "Un'inchiesta, a suo tempo, l'ho svolta: si tratta di sette spiriti di ragni. Il filo che cavano dall'ombelico è filo di ragnatela."
     "Se le cose stanno così, la situazione non è grave. Vattene pure: so come vincerle."
     Il tudi rinnovò le prosternazioni e scappò via a precipizio.
     Scimmiotto si strappò dalla coda settanta peli, ci soffiò sopra e li trasformò in Scimmiottini. Poi soffiò sulla sua sbarra e la trasformò in settantuno forche bidenti, che distribuì ai suoi compari tenendone una per sé. Circondarono la massa di fili che ricopriva il tempio, e tutti insieme vi affondarono le forche e incominciarono ad arrotolarli come spaghetti. Quando ciascuno ebbe avvolto una diecina di libbre di filo di ragnatela, rimasero allo scoperto sette ragni giganteschi, ciascuno delle dimensioni di un panierino di vimini; furono fatti prigionieri, impastoiate le zampe con il loro stesso filo e legata la corda al collo. Le loro vocine gemevano: "Pietà, pietà!"


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