Il reverendo stimolò il cavallo e in breve giunsero alle prime rupi. Dopo qualche li incontrarono un vecchio; il vento gli scompigliava i capelli bianchi e i radi fili d'argento delle lunghe fedine. Portava al collo un rosario e s'appoggiava a un bastone dal pomo a testa di drago. Dall'alto del pendio gridò loro: "Reverendi che andate verso occidente, fermatevi! Questa montagna è abitata da una banda di diavoli perversi, che hanno divorato tutti gli abitanti del posto. Non si può proseguire!"
Tripitaka impallidì e si sentì male, tanto che vacillò sulla sella, cadde giù come un sacco e rimase a gemere steso nell'erba.
Scimmiotto lo andò ad aiutare: "Di che cosa avete paura? Sono qui io."
"Non hai sentito quel vecchio? Da queste parti vivono gli orchi. Chi di voi ha il coraggio di andare a chiedergli maggiori informazioni?"
"Statevene lì seduto; ci andrò io."
"Ma sei brutto e brusco di modi: lo spaventerai e non ne caverai niente."
Scimmiotto rise: "Allora mi farò bello e di gentile aspetto."
"Vediamo."
Il grande santo, con una scossa, si trasformò in un bel monacello con gli occhi azzurri e i lineamenti femminei, dai gesti misurati e dall'eloquio castigato. Assettò la sua tonaca di broccato e ruotò su sé stesso davanti a Tripitaka: "Maestro, che ne dite?"
"Dico che vai a meraviglia" esclamò lieto Tripitaka, dopo averlo debitamente considerato.
"Si capisce" grugnì invidioso Porcellino. "Lui sa imbrogliare a meraviglia. Io mi potrei strizzare la gobba per tre anni di seguito, ma non riuscirei mai a diventare così seducente."
|