"È la fine" pensava sconsolato Porcellino. "Il destino mi ha messo nelle mani di un salumiere."
Lo creature malefiche si gettarono su di lui, lo ammanettarono, lo legarono e corsero a gettarlo nella vasca della fontana, dove lo lasciarono a mollo.
Il grande santo prese il volo e ronzò intorno al grassone, di cui sporgevano dall'acqua le sommità delle zampe ammanettate e il grugno semisommerso; quest'ultimo sbuffava e fischiava, simile a un grosso ricettacolo di loto spelacchiato e annerito dopo una gelata della nona luna. Scimmiotto guardava le sue smorfie e si sentiva diviso fra l'animosità e la compassione. "Che fare?" si diceva. "Anche lui parteciperà all'assemblea dell'albero drago-fiore. Ma è un vigliacco che approfitta della prima occasione per mettere le mani sui bagagli, nell'intento di svignarsela; e prova un gusto particolare a incoraggiare il maestro a recitare l'incantesimo della costrizione del cerchio. Magari lo aiuterò, ma prima, che si prenda una bella paura! L'altro giorno Sabbioso diceva che ha messo da parte delle economie; voglio mettere in chiaro se è vero."
Quel diavolo di un grande santo tornò a posarsi sull'orecchio di Porcellino e lo chiamò contraffacendo la voce: "Consapevole delle Proprie Capacità, ascolta."
"Chi mi chiama? Come fai a sapere il mio nome?" chiese Porcellino.
"Sono io" rispose Scimmiotto.
"E chi sei tu?"
"Sono il pubblico ufficiale sgraffignario."
"Che iella!" pensò Porcellino. E chiese: "Da dove venite, signor ufficiale?"
"Mi manda il re Yama: sei citato a comparire davanti alla quinta corte infernale."
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