"Parli come un libro stampato, amico mio" replicò l'anziano. "Ma il Novizio ritornerà e ce lo sottrarrà di nuovo."
"Nel parco del palazzo c'è un chiosco fra i melograni, dove si trova una cassaforte. Spargiamo la voce che abbiamo divorato crudo il monaco, e chiudiamolo là dentro. Scimmiotto sentirà dire che il suo maestro è morto, e se ne andrà. Da parte nostra lasceremo passare tre o quattro giorni: se quel malvivente non ritornerà a romperci le scatole, ci mangeremo il monacello nelle condizioni di spirito più propizie. Che cosa ne dite?"
La proposta fu approvata. Tripitaka fu immediatamente portato nel chiosco e chiuso dentro la cassaforte.
Intanto Scimmiotto, fuggito nella notte, provvide per prima cosa a coprirsi le spalle: corse alla Grotta del Cammello Leone e, con uso accorto della sua sbarra, fece piazza pulita delle diecine di migliaia di mostri che vi si trovavano. Quando ritornò indietro, il sole sorgeva a oriente. Tuttavia nei pressi della città si fermò a riflettere. Esitava a farsi avanti da solo: un filo non basta a fare una corda, né una mano ad applaudire.
Scese dalle nuvole, prese l'aspetto di un mostriciattolo qualsiasi, entrò in città e passeggiò per viali e vicoli a caccia di notizie. Dovunque si diceva: "Le loro maestà, questa notte, si sono mangiate quel monaco cinese senza nemmeno levargli la tonaca." Scimmiotto non sapeva che cosa pensarne. Si recò nella piazza in cui si apriva il portone del palazzo reale, e osservò un andirivieni di fantasmi con il berretto di cuoio dorato, giustacuore di tela gialla e bastone laccato di rosso; alla vita tenevano legata una tessera d'avorio, ed entravano e uscivano senza tregua e senza formalità.
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