Salutò tutti, montò sul cervo e balzò in alto, scomparendo nel cielo. S'intende che re, regine e buon popolo stavano a guardare riverenti e bruciavano incenso.
"Discepoli miei, è tempo che ci congediamo anche noi" ordinò Tripitaka.
Il re insisteva perché rimanessero e lo istruissero per risolvere i suoi problemi. Scimmiotto gli disse: "I consigli che vi possiamo dare sono presto detti. Datevi una regolata, non fate troppo il birichino con le donne e nei ritagli di tempo pensate a fare qualche buona azione. Impegnatevi sul serio in ogni impresa e sforzatevi di compensare i vostri punti deboli: è un esercizio che vi manterrà sano, e in qualche modo contribuirà ad allungarvi la vita. Non abbiamo altro da consigliare."
Il re offrì loro due vassoi di pezzi d'oro e d'argento alla rinfusa, a titolo di viatico. Ma Tripitaka precisò che non poteva accettare nemmeno un soldo. Allora non restò che farlo salire sul carro reale, che il re e le reali spose spinsero con le loro mani sulla strada. Usciti dal palazzo attraversarono le strade della città fra ali di gente, che libava acqua pura e bruciava incenso. La folla si richiudeva dietro di loro e li seguiva fuori città.
Quando furono sulla spianata davanti alla porta, ululò il vento e scesero dall'alto millecentodieci gabbie, ciascuna delle quali conteneva un marmocchio piangente. Si udì la voce degli dèi che dicevano: "Grande santo, abbiamo sentito che ve ne andate e siamo venuti a riportare le gabbie con i bambini, secondo le istruzioni."
Tutti si inginocchiarono. Scimmiotto gridò: "Grazie, signori! Ritornate pure a casa. Raccomando alla gente di qui di largheggiare in offerte ai vostri templi, per manifestarvi la sua gratitudine."
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