Rilucono quiete le stelle del Fiume d'Argento.
In cima alla torre il tamburo scandisce le ore.
Scimmiotto si alzò all'alba, chiamò Porcellino e Sabbioso per preparare cavallo e bagagli, e andò a destare il maestro, che dormiva ancora. Chiamato, alzò la testa e la lasciò ricadere sul cuscino. "Maestro, che avete?" chiese inquieto Scimmiotto.
"Non lo so nemmeno io" gemette il reverendo. "Mi gira la testa, sento gli occhi gonfi; ho male dappertutto."
Porcellino gli toccò la fronte e la sentì scottare. "Ho capito" disse il bestione. "La buona cucina vi ha indotto ieri sera a mangiare un piatto di troppo, e avrete dormito con la testa troppo in basso. È un'indigestione."
"Sciocchezze" brontolò Scimmiotto. "Ci dica il maestro che cosa è successo."
"Questa notte mi sono alzato per un bisogno e non ho messo in capo la berretta" spiegò Tripitaka. "Avrò preso freddo."
"È una spiegazione più verosimile. Ve la sentite di alzarvi e rimettervi in cammino?"
"Temo di non riuscire nemmeno a mettermi seduto: come potrei cavalcare? Ma non vorrei farvi perdere tempo."
"Che dite mai, maestro! Come dice l'adagio: maestro per un giorno, padre per la vita. E noi discepoli siamo i vostri figli. Si dice anche: non chiedere a tuo figlio che cachi oro o pisci argento, ma che ti mostri affetto secondo il bisogno del momento. Se non state bene, aspetteremo che vi rimettiate."
Per più di due giorni e due notti i discepoli assistettero il maestro; verso la sera del terzo giorno, Tripitaka riuscì finalmente a mettersi a sedere e chiamò Scimmiotto: "Consapevole del Vuoto, sono stato tanto male, che non ti ho chiesto nemmeno se la pusa che abbiamo salvato ha ricevuto il cibo che le occorre."
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