"Perché la Foresta degli Abeti Neri è verso est. È là che abbiamo incontrato quella che a voi sembrava una così brava figliola. Le mie pupille d'oro videro subito che cos'era. I lama li ha mangiati lei; il maestro lo ha rapito lei. La vostra idea di darle una mano era proprio astuta! Naturalmente, per cercare il maestro, dobbiamo prender le mosse dal punto dove l'abbiamo incontrata."
"Si capisce!" risposero i due sgranando gli occhi. "Sembri un tipo brutale, ma sotto sotto non manchi di finezza. Andiamo." E ritornarono di corsa nella foresta. Si vedeva
il sentiero serpeggiante tra le rocce, nella foschia mattutina, che reca impronte di volpi e di lepri. Fra i cespugli si distinguono altre tracce: tigri, pantere e lupi. Ma non si vedono tracce di mostro: dove sarà passato Tripitaka?
Scimmiotto, esasperato, finì per assumere l'aspetto che aveva quando devastava i palazzi del Cielo: tre teste e sei braccia, con tre randelli; e si mise a battere a tutta forza alberi e terreno qua e là nella foresta.
"Sabbioso" disse Porcellino, "quell'uomo è uscito di senno; se mai ci fosse in giro qualche traccia, la cancellerà senza vederla."
Ma Scimmiotto aveva uno scopo preciso: in breve sbucarono dagli alberi due vecchietti: il tudi e il dio della montagna. Si inginocchiarono davanti a lui e dissero: "Grande santo, eccoci qui."
"Quel randello è tanto efficace" commentava Porcellino, "che un giorno finirà per scovarci la stella della disgrazia in persona."
"Begli infami che siete!" li apostrofò Scimmiotto. "Naturalmente avrete l'abitudine di far comunella con tutti i banditi del territorio, in cambio dello spezzatino di maiale che vi offriranno ogni volta che le loro ladronerie saranno andate a segno. Siete certo complici di una vampira che conosco. Il fatto è che stanotte ha rapito il mio maestro. Dove l'ha nascosto? Vuotate il sacco, o passerò alle vie di fatto."
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