Del resto non c'erano altre soluzioni a portata di mano. Il reverendo e Sabbioso si tolsero gli abiti monacali, infilarono le casacche e si misero in capo i turbanti. Porcellino utilizzò la misura più grande disponibile, ma per il suo testone nessun turbante era sufficiente: Scimmiotto dovette cucirne insieme due, con ago e filo. Infine anche lui si cambiò d'abito e diede le istruzioni per l'uso: "Ricordate che dobbiamo evitare di usare fra noi le parole maestro e discepolo."
"Per noi sono parole indispensabili. Quali altre potremmo usare?" chiese Porcellino.
"Il maestro sarà Tang il vecchio, tu Porcelli terzo; Sabbioso sarà Sabbiosi quarto, e io Scimmiotti il giovane. Ma la cosa migliore, in albergo, sarà che teniate la bocca chiusa: parlerò io. Ci chiederanno che mestiere facciamo, e io dirò che siamo mercanti di cavalli; il cavallo bianco fungerà da campione commerciale. Di sicuro il locandiere ci tratterà bene, e noi lo ricompenseremo con una bella moneta d'argento; me la fabbricherò io, da una scheggia di vecchia tegola."
Il reverendo non trovava che tutto fosse ineccepibile, ma non osò sollevare obiezioni.
Caricarono dunque i bagagli sul cavallo ed entrarono in città. Era un posto tanto pacifico che le porte erano ancora spalancate a quell'ora di notte. Passarono davanti alla locanda di Wang il giovane, e sentirono che all'interno qualcuno altercava a proposito di abiti scomparsi. Scimmiotto fece finta di niente, e scelse un'altra locanda all'angolo della strada, che non aveva ancora ritirato la lanterna sopra l'insegna. Bussò alla porta e chiamò: "Ehi della locanda, avete camere libere?"
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