Gli esperti cuochi prepararono tutto in un baleno; la pagoda di zucchero era già pronta. Il pasto fu servito in camera.
"Devo servire vino analcolico?" chiese la locandiera.
"Al vecchio Tang non piace" rispose Scimmiotto, "ma noi ne berremo volentieri un bicchiere."
Mentre la vedova faceva intiepidire il vino, si udì dabbasso un baccano di tavole che si urtavano. "Che cosa succede?" chiese Scimmiotto.
"Niente; sono i miei contadini, goffi e sbadati, che avranno urtato nel soffitto con le stanghe dei palanchini. Sono venuti in città a portare il riso dalla mia modesta tenuta, e li ho trattenuti a dormire per la notte. Dal momento che a quest'ora non ho altro personale sotto mano, li ho fatti alzare per mandarli a prendere le signorine."
"Buono a sapersi; ditegli pure di ritornare a letto. Come dicevamo, oggi facciamo digiuno; e poi i nostri fratelli non sono qui, sono costretti a dormire all'aperto con i cavalli. Domani saremo tutti insieme in allegria, e sarà il momento giusto per far venire le ragazze."
"Che brave persone! Usate molti riguardi fra voi, e non mancate di tenervi dacconto." approvò la vedova. E mandò a dire ai suoi: "Ritirate i palanchini; non servono più."
I quattro pellegrini mangiarono e bevvero; poi la tavola fu sparecchiata e la servitù si ritirò.
"Dove dormiremo?" bisbigliò Tripitaka nell'orecchio di Scimmiotto.
"Qui dove ci troviamo."
"Non è una cosa prudente. Stanchi come siamo, ci abbandoneremo al sonno e le nostre vesti si scompiglieranno, il turbante ci cadrà dalla testa. Se qualcuno dovesse entrare nel frattempo, ci riconoscerebbe subito dalle nostre teste rasate e strillerebbe che siamo monaci. E noi che cosa faremmo?"
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