"Non spingete!" gridava Porcellino. "Accontenterò tutti: accetterò l'invito di ciascuno di voi."
"Quale invito, bonzo?"
"L'invito a pranzo. Ho saputo che preparavate cibo per i monaci, e sono venuto a farmene offrire."
"Hai capito male: noi non serviamo pranzi ai monaci, semmai ce li serviamo a pranzo. È vero che, da bravi immortali di montagna che hanno conseguito il Tao, vogliamo soltanto gente pia: ma la vogliamo per cucinarla al vapore. Se pensavi di essere tu a mangiare, hai sbagliato strada."
Porcellino si spaventò e pensò ogni male di Scimmiotto: "Quel vigliacco equipuzio mi ha raccontato che i paesani offrivano riso ai monaci: questi sono mostri, altro che paesani!"
Tirato da tutte le parti il bestione si spazientì, riprese la propria forma e brandì il rastrello, mettendo in fuga i suoi aggressori.
"Disgrazia, grande re!" corsero ad annunciare.
"Che disgrazia?" chiese l'orco.
"È arrivato un bonzo di bell'aspetto, che prometteva di diventare un buono stufato. Ma è capace di trasformarsi."
"Come si è trasformato?"
"Non sembra nemmeno un uomo: ha un grugno da porcello, orecchie larghe e certe setole rade sul collo. Ci ha pestati ben bene con un rastrello. Ci ha tanto spaventato, che siamo corsi a informarvi."
"Non abbiate paura; vengo a vedere."
L'orco venne avanti roteando un gran pestello di ferro, e trovò che la bruttezza di Porcellino era davvero straordinaria:
Il lungo grugno sembra un martello,
E son quei denti candidi chiodi.
Gli occhi rotondi lanciano lampi,
Le lunghe orecchie muovono l'aria
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