Per non far vedere al reverendo che si allontanava, lasciò un altro sé stesso ottenuto dalla trasformazione di un pelo e balzò in cielo. Dall'alto vide il bestione accerchiato, che si difendeva furiosamente con il rastrello, ma si trovava in crescenti difficoltà.
Scimmiotto non seppe trattenersi e gridò: "Tieni duro, Porcellino; arrivo!"
La sua voce diede nuovo coraggio al bestione, che raddoppiò l'impegno. L'orco, che non riusciva più a controllarlo, si chiedeva: "Che cosa succede a questo bonzo? Un momento fa stava per cedere e ora fa il diavolo scatenato."
"Caro mio, attento ai fatti tuoi! Sta arrivando un tizio delle mie parti a darmi una mano."
E giù colpi in testa. L'orco non sapeva più come pararli, e batté in ritirata con i suoi mostriciattoli. Visto che il pericolo era superato, Scimmiotto non intervenne e ritornò invece al punto di partenza, dove il reverendo non si era accorto di niente.
Un momento dopo li raggiunse il bestione, vittorioso ma conciato da far paura: era ansimante e spossato, il moccio gli colava dal naso e la schiuma gli sigillava la bocca. Gridò rauco: "Maestro!"
"Santo cielo, Porcellino!" gridò il reverendo. "Eri andato a raccogliere erba; che cosa ha potuto succederti perché ritorni in questo stato? Forse il prato era recinto, e i guardiani ti hanno battuto perché tagliavi l'erba?"
Il bestione lasciò cadere il rastrello e si batté il petto: "Maestro, non me lo chiedete; mi fate morire di vergogna."
"Di che cosa ti vergogni?"
"Il condiscepolo anziano mi ha imbrogliato. Ha raccontato di un villaggio dove si cucinavano pranzi per monaci, e io ho pensato di approfittarne. Vi ho detto che andavo a cogliere erba, ma era solo un pretesto. Invece mi son visto circondare da una quantità di mostri e ho dovuto sostenere un duro combattimento. Se il condiscepolo non mi avesse dato una voce, non credo che ce l'avrei fatta."
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