"Ma quale sarà la reazione dei discepoli, se mangiamo il maestro? È probabile che Sabbioso e Porcellino se ne facciano una ragione e si allontanino; ma il grande Scimmiotto è meno prevedibile. Se volesse davvero vendicarsi, non avrebbe nemmeno bisogno di combatterci: con la sua sbarra potrebbe fare un tal buco sotto la montagna da farcela crollare addosso."
"E allora che cosa suggerisci?"
"Secondo me, è meglio prender tempo. Se leghiamo il monaco cinese nell'orto e lo lasciamo per due o tre giorni senza mangiare, non nuocerà certo alle sue carni; anzi, gli darà tempo di purgare le budella. Vedremo come si mettono le cose. Quando in un modo o nell'altro ci saremo sbarazzati dei discepoli, ce lo mangeremo a nostro agio. Non credete che lo digeriremo meglio?"
"Ma certo" approvò l'orco sorridendo. "Il nostro ufficiale d'avanguardia è un gran ragionatore."
Così si fece; il monaco fu legato a un albero dell'orto, si chiuse la porta e si dispose la guardia.
Il reverendo piangeva a calde lacrime: "Discepoli miei, dove siete andati a combattere creature malefiche? È qui che soffro, per mano dell'orco maledetto che mi ha catturato. Quando potremo rivederci? Morirò prima di dolore."
Dall'albero di fronte un voce disse: "Reverendo, ci siete cascato anche voi."
"Voi chi siete?" chiese Tripitaka cercando di guardare l'interlocutore attraverso le lacrime che gli facevano velo.
"Sono un boscaiolo della montagna, catturato da questi mostri. Sono legato qui ormai da tre giorni. Mi vogliono mangiare."
"Ah, boscaiolo!" esclamò il reverendo riprendendo a piangere. "Se tu muori, la cosa finisce lì. Ma per me è diverso."
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