"Sono laggiù che vi piangono; chiamateli."
E Tripitaka gridò a gran voce: "Porcellino!"
Il bestione, cui girava la testa dopo tante lacrime, si soffiò il naso, si asciugò gli occhi e disse: "Ecco qua, Sabbioso: l'anima del maestro vaga per la montagna. Non senti la sua voce?"
"Scemo!" gridò Scimmiotto facendosi avanti. "Quale anima? Non vedi che è lui in carne e ossa?"
Sabbioso corse a inginocchiarsi davanti al maestro: "Quanti tormenti dovete aver subito! Come ha fatto a liberarvi il condiscepolo?"
Scimmiotto raccontò gli ultimi avvenimenti, che Porcellino ascoltava digrignando i denti e battendo intorno rastrellate; tanto che finì per sconvolgere il tumulo, e quando venne alla luce la testa che vi avevano sepolto, la spiaccicò con un colpo.
"Perché te la prendi con quei poveri resti?" lo rimproverò Tripitaka.
"Maestro, non so di chi fossero, ma li ho pianti anche troppo."
"Forse devo a lui se sono ancora vivo" osservò il reverendo. "Quando avete attaccato i mostri, si sono serviti di lui per ingannarvi e allontanarvi; ma se non lo avessero avuto a portata di mano, avrebbero potuto uccidere me. Del resto avete il dovere di seppellirlo, anche solo per lo spirito compassionevole che un monaco deve manifestare in ogni circostanza."
Il bestione raccolse i resti e ricostruì il tumulo.
"Ora, maestro, dovreste sedervi un momento e darmi il tempo di fare piazza pulita" disse Scimmiotto. Discese la scarpata, attraversò il torrente ed entrò nella grotta. Con le corde che erano servite per Tripitaka e per il boscaiolo, legò stretto l'orco, ancora addormentato, se lo caricò in spalla e ritornò dai suoi.
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