"Quando mai ti avrei pestato i piedi?" domandò Scimmiotto.
"Tante volte. A vedermi legato, appeso, lessato o cotto sotto la cenere, tu ci provi gusto. Dopo tutta la compassione che hai riversato su un milione di persone nel governatorato di Fengxian, che cosa ti costava lasciarmici stare per sei mesi? Là prendevo bei pasti regolari, secondo l'appetito; che fretta c'era di scappar via?"
"La solita bestia" brontolò Scimmiotto. "Pensi solo a riempirti la pancia. Piantala e cammina."
Porcellino non osò replicare; con una smorfia si assestò i bagagli sulla spalla e seguì ansimando gli altri, che affrettavano il passo.
Il tempo correva veloce come la spola; presto ritornò l'autunno.
Scompare il rigoglio della vegetazione, si assottiglia il mantello delle montagne. Le foglie rosse volano nel vento. Le limpide notti, in cui la luna bianca si affaccia alle finestre, sono seguite da chiare mattine gelate. Nel crepuscolo risplende la fredda acqua del lago davanti alle case dai comignoli fumanti.
Profumano le felci, prospera il poligono rosso, il frutto del mandarino è ancora verde, ma l'arancia già si colora di giallo. L'oca selvatica si rifugia nel casolare abbandonato, il gallo di campagna celebra cantando la raccolta dei fagioli.
Dopo lungo cammino i quattro pellegrini videro nuovamente levarsi all'orizzonte la massa scura di una cinta muraria.
"Consapevole del Vuoto" disse il reverendo indicandola con il frustino, "ecco un'altra città. Come si chiamerà?"
"Non abbiamo mai viaggiato da queste parti" rispose Scimmiotto. "Come volete che lo sappia? Quando arriveremo, lo chiederemo ai suoi abitanti."
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