"Basta così!" esclamò Scimmiotto. "È certo colpa di quel furfante. Voialtri" aggiunse rivolgendosi a Porcellino e Sabbioso, "badate al maestro e alla sicurezza della città, mentre io vado a fare un giro da quelle parti." Quanto ai fabbri, li pregò di continuare il loro lavoro.
Il bravo re scimmia, congedatosi da Tripitaka, scomparve con un sibilo. La Montagna del Leopardo distava dalla città una settantina di li, perciò vi giunse in un batter d'occhio. Guardando dall'alto, si riconosceva la presenza di miasmi malefici.
Una vasta struttura rocciosa dalle lunghe vene di drago: picchi aguzzi conficcati nel cielo, torrenti che rumoreggiano in fondo ai burroni. Davanti alla montagna si stende un cuscino di erba di diaspro, su cui i fiori disegnano un broccato. Pini alteri e antichi cipressi si mescolano a vecchi alberi e bambù.
Gazze e corvi volano gracchiando, gru e gibboni fischiano e gemono. Ai piedi della roccia scoscesa scorrazzano coppie di daini e cervi, corrono furtivi tassi e volpi. Draghi venuti da lontano appaiono e scompaiono dai nonupli meandri di una gran vena nascosta sotto la montagna.
La catena montuosa è sul confine del distretto di Yuhua, posto incomparabile destinato a diecimila anni di felicità.
Mentre si guardava intorno, Scimmiotto udì voci che provenivano dall'altro versante della montagna. Andò a vedere, e scoprì due mostri a testa di lupo che risalivano il pendio nord occidentale discutendo animatamente.
"Sono creature malefiche in missione" si disse Scimmiotto. "Sentiamo che cosa hanno da raccontare."
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