I tre portarono le lampade. Dal momento che ci provavano gusto, invece di riposare ripresero a picchiare i bastoni sulla testa di Scimmiotto: sembrava che suonassero il tamburo. Ma alla fine caddero addormentati.
Quando tutto tacque, Scimmiotto si rimpicciolì, scivolò fuori dalle corde che lo stringevano, si scosse il pelo e rassettò l'abito. Poi cavò la sbarra da dietro l'orecchio e le diede il diametro di una secchia e la lunghezza di due tese.
"Bestiole immonde, avete picchiato il vostro signore e padre quanto vi è piaciuto. Ora toccherà a voi assaggiare la mia bacchetta: vediamo che effetto vi fa."
Diede loro un colpetto e li ridusse a carne da ragù. Poi allungò il lucignolo della lampada e si avvicinò ai prigionieri per liberarli, incominciando da Sabbioso. Quello sventato di Porcellino, che non ne poteva più, si mise a strillare: "Slegami per primo, fratello! Ho i piedi gonfi!"
Le proteste del bestione destarono il vecchio mostro, che si alzò a sedere sul letto e borbottò: "Slegare che cosa?" Scimmiotto spense la lampada con un soffio e scappò via, sfondando le porte al suo passaggio.
Il mostro arrivò di corsa nella sala: "Ragazzi, perché avete spento la luce? Non sarà mica scappato qualcuno?"
Nessuna risposta. Il mostro accese una torcia e vide i tre piccoletti spiaccicati per terra. Tripitaka, Porcellino e i principi erano sempre là, ma Scimmiotto e Sabbioso mancavano all'appello. Si gettò all'inseguimento e scoprì Sabbioso che cercava di nascondersi dietro un pilastro del portico; lo gettò a terra e lo legò di nuovo. Di Scimmiotto non si vedeva traccia; a giudicare dalle porte rotte, era chiaro che era fuggito all'aperto. Il vecchio riparò alla bell'e meglio i battenti scardinati.
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