"Che fortuna!" sghignazzò Porcellino. "Magari, raspando per terra, riusciremo a trovare qualcuna di quelle mattonelle e faremo fortuna."
I condiscepoli risero. Tripitaka smontò da cavallo e si avviò a piedi verso l'ingresso.
Sulla porta e sotto i porticati sostavano molte persone: alcune portavano tavole, altre sacchi sulle spalle, altre ancora spingevano carriole; si vedevano carri pieni di gente. Chi faceva conversazione, chi dormiva. Quando vennero avanti quegli strani pellegrini, uno così bello e gli altri così brutti, la gente si fece da parte timorosa. Tripitaka paventava incidenti e mormorava ai suoi: "Datevi un contegno! Siate gentili!" Ma nessuno tentò di stabilire contatti.
Mentre facevano il giro della sala del Vajra, lo raggiunse un monaco imponente dall'aspetto autorevole:
La luna piena brilla sul suo volto.
Il corpo è ben piantato, come l'albero
Della bodhi. Si agita nel vento
L'ampia manica sull'impugnatura
Del suo bastone. I sandali di paglia
Sul lastricato procedon spediti.
Tripitaka giunse le palme per salutarlo; il monaco ricambiò premurosamente e chiese: "Da dove venite, maestro?"
"Il vostro discepolo Chen Xuanzang è stato inviato dall'imperatore dei grandi Tang delle terre dell'Est a sollecitare le scritture dal Buddha nel Paradiso dell'Ovest. Poiché la nostra strada passa accanto al vostro nobile convento, ci siamo permessi di entrare con l'intenzione di chiedere riparo per la notte. Domani all'alba riprenderemo il cammino."
"Il nostro umile monastero è aperto a tutti; ciascuno vi può soggiornare a suo piacere. Anzi, ospitare il reverendo, che è un divino monaco dell'Est, sarà per noi una grande gioia."
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