"Ho vanamente vissuto quarantacinque anni. Mi posso permettere di chiedere la vostra età?"
"Io vi supero di uno stupido ciclo di sessant'anni."
"Avete dunque centocinque anni" osservò Scimmiotto. "A me, quale età dareste?"
"Il vostro volto mi sembra così anziano e la vostra anima così pura, che non oso far congetture; tanto più che la notte vedo ben poco, anche al chiaro di luna."
Chiacchieravano passeggiando nel portico posteriore.
"Si è parlato delle rovine del parco di Anâthapindada. Dove si trovano?" chiese Tripitaka.
"Ve le mostro. Basta uscire dalla porta posteriore."
Aprirono una porticina e si avventurarono in un terreno incolto, dove affiorava la base di un antico muro e giacevano a terra varie pietre spezzate. Tripitaka sospirò, giunse le mani e recitò:
"Penso a quel donatore d'altri tempi,
Sudatta(77), che elargiva le ricchezze
Ai poveri e in eterno legò il nome
Al Jetavana. Ove soggiornerà
In compagnia degli arhat e dei buddha?"
A passi lenti sotto il lume lunare giunsero a una terrazza, dove sedettero in grande calma di spirito. A un tratto si udì nelle tenebre qualcuno che singhiozzava perdutamente; Tripitaka distingueva le parole di quei lamenti, che esprimevano tormenti ignorati da tutti e nostalgia di casa. Ebbe una stretta al cuore e non poté trattenersi dal versare qualche lacrima. Mentre prendevano la via del ritorno, chiese: "Sapete dirmi chi sia la persona afflitta che abbiamo udito lamentarsi?"
Il vecchio monaco inviò i suoi accoliti a preparare il tè e, quando restarono soli, si inchinò davanti al monaco cinese e a Scimmiotto.
|