"Lascia perdere, fratello" lo esortò Sabbioso. "Le cose che sai fare tu non servono a corte; con il tuo muso e le tue maniere, non potresti combinare che guai."
"Ha ragione Consapevole della Purezza" rincarò Tripitaka. "Sei un goffo bestione; Consapevole del Vuoto, almeno, al bisogno sa sfoderare qualche finezza."
Il bestione, offeso, inalberò il grugno e brontolò: "A parte il maestro, non mi pare che noi tre siamo tanto diversi."
Tripitaka indossò il kasâya, Scimmiotto prese i documenti dalla sacca e uscirono insieme. Si mescolarono alla folla di gente d'ogni sorta che affollava le strade: funzionari e contadini, artigiani e mercanti, letterati a gomito con facchini. Si esclamava: "Guardate! Ora getterà la palla ricamata."
Tripitaka si teneva in disparte e confidava a Scimmiotto i suoi pensieri: "Se ti guardi intorno, constaterai che i vestiti, le case, gli utensili di questa gente non sono diversi da quelli del nostro paese. Anche il gusto di far baccano e divertirsi è il medesimo. La mia povera mamma raccontava sempre di aver scelto marito gettando una palla ricamata. Vedi: a tanta distanza di luoghi, le consuetudini sono le medesime."
"Che ne dite?" propose Scimmiotto. "Potremmo avvicinarci per vedere meglio."
"Non è il caso. Siamo pur sempre riconoscibili come stranieri, e non vorrei mettermi in situazioni difficili."
"Maestro, non dimenticate le nostre promesse al vecchio monaco del Monastero Pavimentato d'Oro. Andiamo a goderci lo spettacolo sotto la torre, per aver modo di distinguere il vero dal falso. Questo è il momento culminante della festa: anche il sovrano sarà intento ai casi di sua figlia, e non avrà testa agli affari di stato. Venite con me."
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