"Si vede che non conosci il proverbio: Chi dopo pranzo dormirà, un dito di ciccia fabbricherà."
Tripitaka era livido. Si affrettò a congedarsi dal re e, allontanatosi dal padiglione, diede una strigliata ai suoi discepoli, in particolare a Porcellino: "Bestia villana! Tu credi di poter dire qualsiasi cosa; ma il re potrebbe irritarsi, e fartela pagare cara."
"Che differenza volete che faccia?" replicò Porcellino. "Per lui, ormai, siamo gente di famiglia. Come dice l'adagio: Non c'è colpo che spezzi il legame di sangue; non c'è insulto che rompa il buon vicinato. Dopo tutto stavamo a divertirci. Non credo che abbiamo corso nessun pericolo."
"Tenetemi fermo questo cretino" ordinò Tripitaka esasperato. "La lezione gliela dò io, con il mio bastone da pellegrino."
Scimmiotto eseguì, rovesciandolo al suolo e inchiodandolo spalle a terra, mentre il reverendo levava il suo bastone.
"Monsignor genero!" strillava il bestione. "Fatemi grazia, per pietà!" Gli ufficiali che li accompagnavano intercedettero in suo favore.
Porcellino poté rimettersi in piedi e brontolò: "Bel genero che siete! Fate il tutore della legge del re ancor prima di aver consumato il matrimonio."
Scimmiotto gli turò la bocca con la mano: "Taci, scemo. Per oggi ne hai dette abbastanza. Se vuoi restar sano, va a dormire."
Si ritirarono per la notte nel Chiosco Afferra Primavera. I giorni successivi trascorsero in feste e passatempi, finché giunse il grande momento.
Il giorno dodici gli ufficiali dei tre dipartimenti del servizio dei banchetti si presentarono a rapporto: "In conformità dell'ordine impartito il giorno otto, è stata compiuta la costruzione della residenza del real genero. Non resta che trasportarvi il corredo. I preparativi del banchetto sono stati completati: cinquecento coperti con doppio menu, vegetariano e non."
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