Scimmiotto ringraziò e incaricò Sabbioso di porgere i documenti. Il re li lesse, appose il sigillo e la sua firma, e offrì in dono dieci lingotti d'oro e venti d'argento. L'avido Porcellino li prese in consegna, e Scimmiotto si inchinò e si scusò per il disturbo.
Mentre stavano per partire, Tripitaka gli si aggrappò a un braccio battendo i denti, e bisbigliò: "Ve ne andate via e mi abbandonate!"
Scimmiotto gli pizzicò la mano e strizzò l'occhio: "Godetevi la vita, fate festa! Non appena avremo ottenuto le scritture, ci rivedremo." Tripitaka gli restava convulsamente aggrappato. Agli occhi dei funzionari, sembrava che si stessero salutando.
Ma il re sollecitò il genero ad accompagnarlo nei suoi appartamenti, e Tripitaka dovette mollare la presa, mentre i suoi discepoli venivano accompagnati fuori del palazzo.
Si incamminarono verso l'albergo. "Ce ne andiamo davvero?" chiedeva Porcellino. Scimmiotto tirava diritto e non rispondeva.
Il mastro di posta offrì loro il tè e fece preparare una colazione. Scimmiotto raccomandò: "Non mettete il naso fuori di qui. Vi lascio un sosia; evitate di parlargli, perché non so che cosa vi risponderebbe. Se il mastro di posta vi rivolge la parola, restate sulle generali. Io me ne vado dal maestro."
Si strappò un pelo, gridò: "Trasformazione!" e ne fece un altro Scimmiotto che lasciò al suo posto. Da parte sua, si trasformò in ape e volò via.
L'insetto giallo danza nel vento, con bocca dolce di miele e aguzzo dardo nella coda. Nessuno è più abile di lui a introdursi fra i salici, scuotere i fiori e rubare ai pistilli i loro profumi. Non si ferma mai, abile e indaffarato. Troverà mai il tempo di assaggiare il miele che distilla?
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