Mentre combatteva, il grande santo osservava con curiosità quella strana arma, con un'estremità sottile e l'altra grossa e arrotondata, precisamente come un pestello da mortaio: "Spiegami un po', bestiaccia, da dove viene la tua strana arma?"
"Non la conosci?" rispose il mostro. "Ascolta.
È radice di bianca giada. Secoli
La levigarono. Sta in mio possesso
Fin da prima che il caos si separasse.
Non è cosa mortale, ma celeste.
Il suo corpo splendente si congiunge
Ai quattro stati ed ai cinque elementi,
Ai tre principi primordiali. L'ebbi
Nel Palazzo del Rospo e sotto l'ombra
Del cinnamomo; come mia compagna
Mi seguì inseparabile anche quando
Discesi sulla terra e venni in India
Per amore dei fiori. Il desiderio
Mi spinge verso il monaco cinese.
Per quale crudeltà tu vuoi spezzare
La nostra unione e cercare la morte?
L'arma che non conosci ha rinomanza
Assai più antica della sbarra tua:
Sulla Luna, al Palazzo del Gran Gelo,
È il pestello che serve a preparare
La droga che spedisce all'altro mondo."
Scimmiotto fece una risata di compatimento: "Una bestiola che ha abitato nel Palazzo del Gran Gelo non può ignorare chi sia il vecchio Scimmiotto. Perché non riprendi il tuo aspetto e non ti sottometti, per salvare la pelle?"
"Ho visto subito che eri l'equipuzio dei famosi disordini di cinquecento anni fa. Certo, sarebbe ragionevole cedere. Ma tu hai impedito il mio matrimonio: è peggio che se mi avessi ucciso il padre e la madre. Non c'è ragione né timore che mi possano convincere ad arrendermi a te, equipuzio della malora!"
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