Ogni donna dei palazzi reali accorse e si inginocchiò a pregare. La stessa cosa fecero il re, Tripitaka e gli ufficiali.
D'altronde in città ogni famiglia elevava altari e si prosternava al Buddha.
Chi ebbe una reazione imprevedibile fu Porcellino. Non poté trattenersi dal balzare nello spazio e gettarsi sulla compassata Chang'e, nel suo abito d'arcobaleno, abbracciandola con passione: "Dolcezza, quant'è che non ci vediamo! Ti ricordi di me? L'ultima volta abbiamo lasciato le cose a mezzo, ma oggi ci dobbiamo divertire."
Scimmiotto lo acchiappò per il collo, gli diede due ceffoni e gridò: "Zotico! Dove credi di essere, per permetterti certe confidenze?"
"Quante storie!" piagnucolò Porcellino. "Ogni tanto uno sente il bisogno di un po' di distrazione."
La sovrana dello Yin Supremo mise fine all'incidente riprendendo precipitosamente la strada di casa con le sue fate e con la lepre.
Scimmiotto fu accompagnato nella sala delle udienze, dove gli fu chiesto di raccontare l'accaduto per filo e per segno. Infine il re disse: "Vi siamo infinitamente riconoscenti di aver catturato con i vostri immensi poteri la falsa principessa; ma la vera dov'è?"
"Tenete presente che nemmeno lei è d'origine mortale: è la Fata Bianca del palazzo della luna. Vostra moglie l'ha concepita vent'anni fa, quando era stata presa dalla nostalgia del mondo di Sotto e aveva schiaffeggiato la lepre di giada. Furono il rancore e il desiderio di vendicarsi a indurre la lepre a fuggire a sua volta e a rapire Bianca: me l'ha detto la sovrana dello Yin Supremo in persona."
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