Wu Cheng'en
VIAGGIO IN OCCIDENTE


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     Tutti ringraziavano e si prosternavano. Si era formata una lunga coda di persone che volevano offrire frutta e altri cibi.
     "Dov'è finita la mia buona fortuna?" esclamava Porcellino. "Quand'ero di buon appetito, non ricevevo più di dieci inviti per volta. Ora che sono diventato inappetente, gli inviti non finiscono più."
     Ed esercitava la sua inappetenza a vuotare otto o nove piatti di verdure, e divorare qualche diecina di grandi pani.
     Non ne potevano più, ma la gente continuava ad affluire per invitarli.
     "Siamo confusi da tante attestazioni di affetto" ripeteva Tripitaka, "ma vi prego: per questa sera basta così. Ci rivedremo domattina."
     La notte era già avanzata. Tripitaka si installò in atteggiamento di meditazione ai piedi della torre, con i suoi preziosi sutra davanti agli occhi. Verso la terza veglia bisbigliò a Scimmiotto: "Come dice l'adagio: L'uomo vero non si mostra, chi si mostra non è l'uomo vero. Temo che, se ci lasciamo invischiare da questa gente, possiamo compromettere l'essenziale."

     "Avete ragione, maestro. Approfittiamo della notte, mentre tutti dormono, per filarcela con discrezione."
     Porcellino e Sabbioso erano pronti; persino il cavallo sembrava condividere i loro pensieri.
     Dunque si alzarono senza fare rumore, caricarono il cavallo, misero in spalla i bilancieri e si diressero verso l'uscita. Il portone era chiuso, ma Scimmiotto lo aprì usando la magia che scioglie le catene. Quando uscirono e si misero in cerca della strada verso l'est, gli otto vajrapani li chiamarono dal cielo: "Ehi, fuggiaschi! Da questa parte!"


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